Le origini della popolazione Rom Il termine Rom - “uomo” in lingua romanì - viene genericamente utilizzato per indicare le diverse comunità afferenti all’etnia Rom, la cui origine è riconducibile all’India del nord e alla valle del Gange. Circa 1000 anni fa, questa popolazione è migrata verso la Persia fino a raggiungere i territori greci per poi, attorno al 1300, sfuggire all’incalzare dell’Impero Ottomano che voleva renderli servi feudali giungendo, all’inizio del secolo successivo, in Europa centrale. Ad oggi, la popolazione Rom è una minoranza etnica dispersa in tutto il mondo. I Rom residenti in Europa sono circa 12 milioni e sono divisi in tre gruppi principali: Rom (87-88%), Sinti o Manush (2-3%), Kale o Gypsies spagnoli (10%).
La dissoluzione della Jugoslavia A seguito dello smembramento della Jugoslavia, fenomeno avvenuto negli anni Novanta in seguito alla sanguinosa guerra civile che ha sconvolto i Balcani tra il 1991 e il 2001, migliaia di persone di origine Rom sono migrate in Italia. Per varie concause quali la mancata registrazione alla nascita, la distruzione o lo smarrimento dei documenti anagrafici o ancora pratiche discriminatorie messe in campo da parte degli stati successori dell’ex repubblica socialista - Serbia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Slovenia, Kosovo e Macedonia del Nord - tali individui risultano privi sia di una cittadinanza attuale che di un riconoscimento di apolidia. Solo una percentuale effimera è rientrata in patria per veder riconoscere lo status di apolidia sia a loro che ai propri figli che, seppur nati in Italia, non godono dello status di apolidi dal momento che ciò richiederebbe a sua volta la prova dello stato di apolidia dei genitori. In un Paese in cui la legge sulla cittadinanza si basa sullo ius sanguinis, il nascere in Italia da una coppia di apolidi non attribuisce automaticamente la nazionalità italiana. Questa condizione interessa ormai, secondo i dati raccolti dal Consiglio d’Europa, oltre 15.000 Rom nati nel territorio italiano, la maggior parte dei quali si ritrova confinata in riserve etniche.
La creazione delle riserve etniche e lo status di apolidia Impropriamente denominate “campi nomadi”, le riserve etniche nascono nella seconda metà degli anni Ottanta come luoghi volti a “salvaguardare il patrimonio culturale e l’identità Rom” a causa dello stereotipo secondo cui i Rom sarebbero detentori di una tradizione fondata sul nomadismo. In realtà l’assioma “rom/nomade” appare oggi completamente infondato. L’obiettivo di tali misure era quello di offrire una soluzione temporanea al crescente numero di Rom in fuga dalla crisi balcanica culminata nel successivo conflitto. Tali spazi finiranno presto per diventare dei “campi etnici” permanenti sparsi su tutto il territorio nazionale.
Oggi sono circa 40.000 i Rom provenienti dall’ex Jugoslavia che hanno trovato rifugio in Italia in riserve etniche appositamente realizzate per loro. Secondo i dati forniti dall’ultimo rapporto di Associazione 21 luglio, organizzazione non profit che supporta gruppi e individui in condizione di segregazione estrema, sono circa 5.300 i Rom dell’ex Jugoslavia presenti in insediamenti realizzati dalle amministrazioni comunali. Altri 2.000 risiedono in alcuni campi informali situati principalmente nel sud Italia. La cancellazione anagrafica disposta dal Paese di provenienza e l’impossibilità di ottenere un permesso di soggiorno italiano li ha fatti piombare in un limbo giuridico che si è tradotto in una condizione di apolidia de facto. La loro invisibilità è tale che anche il loro numero esatto non è noto, non permettendo alle istituzioni di affrontare seriamente la problematica. Secondo una ricerca prodotta dall’ISPO (Istituto per lo Studio della Pubblica Opinione) nel 2008, si registra in Italia “una fascia di almeno 20-25mila giovani Rom soprattutto dell’ex Jugoslavia che non hanno cittadinanza". Tuttavia, una recente indagine dell’Associazione 21 luglio ha mostrato come tale numero sia esagerato. Partendo da un campione rappresentato dal 36,5% (2.666 persone) del totale di cittadini dell’ex Jugoslavia presenti nei “campi Rom” italiani sparsi in 17 insediamenti situati in 8 Comuni italiani, per la prima volta si riesce ad avere un quadro più chiaro della situazione. Ciò consente di affermare che le persone originarie dell’ex Jugoslavia e a rischio apolidia residenti nei “campi Rom” italiani siano circa 860, di cui poco meno di 500 sono rappresentati da minori. Si tratta di un numero davvero esiguo rispetto a quanto sino ad ora riportato anche in documenti governativi, che consentirebbe l’attivazione di politiche diverse da quelle sinora impiegate. Tra le misure adottate per contrastare il fenomeno vi sono state la presentazione di disegni di legge relative alla procedura per il riconoscimento dello status di apolidia, l’adozione di progetti per facilitare l’accesso ad uno status legale e la costituzione di Tavoli e gruppi di lavoro anche in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nessuna di queste misure ha, tuttavia, portato a risultati significativi ad oggi. Alla luce di questi nuovi dati è possibile impiegare progetti e risorse efficaci per la risoluzione della problematica.
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